Realizzare la propria idea di business spesso risulta essere difficoltoso, in molti casi una chimera, in altri ancora, impossibile. Fare impresa resta la vera impresa e così anche nell’autoimpiego gli ostacoli sono quasi sempre insormontabili. Il problema reale resta la pressione fiscale intesa come la sommatoria degli oneri gravanti sull’imprenditore che supera incolume la morsa della burocrazia. Superati gli ostacoli iniziali la platea degli esempi virtuosi ci offre però un panorama da far strofinare gli occhi, l’economia reale vive di piccole e medie imprese che ogni giorno tengono unito il tessuto produttivo e sociale del nostro Paese. Tra le varie realtà meritano un focus particolare tutti coloro i quali decidono di coltivare un’idea di business attraverso il franchising. In Italia l’affiliazione commerciale è regolamentata dalla Legge 129/2004 e la costellazione delle attività che vi ricorrono è talmente vasta che sembra incommensurabile.
L’investimento richiesto per avviare un esercizio in franchising varia in base al marchio e al business core.
Si parte da poche centinaia di euro fino ad arrivare a cifre decisamente più importanti. L’offerta commerciale è vasta, sono molteplici i siti internet che offrono o propongono affiliazioni e laddove prolifera l’offerta, per la legge dei grandi numeri, aumenta anche il rischio di essere ingannati. Di truffe e raggiri, da sempre, ne è pieno il mondo, in questo caso più che essere raggirati o imbrogliati gli avventori meno esperti rischiano di veder sfumare il proprio investimento semplicemente per un eccesso di fiducia o un errore di valutazione. Oltre un’attenta analisi su fee di ingresso e royalties sono da prendere in considerazione diversi aspetti, in primis quelli proposti dal contratto di affiliazione. La legge 129/2004 prevede dei presupposti che devono essere necessariamente rispettati, in secondo luogo ci sono delle variabili contrattuali che sul lungo periodo possono incidere positivamente o meno, si tratta della clausola di esclusiva e del patto di non concorrenza. L’esclusiva territoriale obbliga l’affiliato a non svolgere, durante la vigenza del contratto, attività imprenditoriale nell’interesse di terzi che distribuiscono prodotti o servizi concorrenti con quelli distribuiti dall’affiliante, mentre quest’ultimo si obbliga, a sua volta, a non servirsi nella stessa area territoriale in cui opera l’affiliato. L’obbligazione dell’affiliante si traduce nella concessione, a favore dell’affiliato, di una area territoriale esclusiva, ben delimitata, la cui estensione dipende dal tipo di attività e dal numero di potenziali clienti. Frequenti sono i casi in cui, l’affiliante, pur obbligatosi a non creare altre affiliazioni nell’area territoriale concessa al franchisee, si riservi la facoltà di operare nella medesima area dell’affiliato, attraverso punti di distribuzione propri. Diversamente, il patto di non concorrenza prevede che le parti possano pattuire espressamente che alla cessazione del contratto, per qualsivoglia causa, sia vietato al franchisee di assumere incarichi di distribuzione per prodotti o servizi concorrenti con quelli già oggetto di contratto. Uno dei rischi maggiori legati al comportamento del franchisor è quello di vedere ridimensionata l’autonomia privata del franchisee, simile situazione sfocia nell’abuso di dipendenza economica poiché un’azienda, in questo caso il franchisor, è in grado di determinare un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi nei confronti del franchisee.
Nella vita come negli affari, bisogna lasciare il giusto spazio all’intuito e all’istinto, senza mai dimenticare però che l’analisi razionale dei fenomeni, in alcuni casi è determinante. Perla di saggezza o frase fatta che sia, investire in attività di franchising non è mai semplice tanto che sul mercato iniziano a proliferare una serie di professionisti, veri e propri consulenti in grado di fornire scenari e valutazioni al fine di ridurre il rischio e massimizzare l’investimento.