Negli ultimi decenni abbiamo assistito a notevoli cambiamenti nel mondo del lavoro e della produzione, l’esempio più plastico lo abbiamo avuto in piena pandemia, nei mesi cruciali della storia, circostanza in cui una parte del mondo occidentale è stato costretto a rivedere e ripensare come, dove e cosa produrre. Le profonde trasformazioni socio-economiche causate dalle innovazioni tecnologiche tracciano un cambio radicale di paradigma rispetto al passato. Nuove realtà e nuove modalità di produzione di beni e servizi emergono senza più distinzioni geografiche per colpa o per merito della Globalizzazione. La pandemia ancora in corso, come del resto tutte le crisi, costituisce un fattore accelerante del progresso e così è stato anche nel nostro Paese quando in piena emergenza sia aziende pubbliche, sia aziende private hanno dovuto abbracciare laddove possibile un nuovo modello di organizzazione del lavoro. Molti lavoratori si sono ritrovati a dover gestire la propria attività tra le mura domestiche, sperimentando una dimensione professionale fino ad allora sconosciuta. Intendere però lo smart working come semplicemente lavorare da casa o altrove rispetto al luogo classico di lavoro è un errore in cui non bisogna cadere.
“Un mondo in continua evoluzione”
Nel nostro mondo in continua evoluzione, altamente digitalizzato, il lavoro è diventato faticosamente programmabile e l’attività di un lavoratore difficilmente può essere predefinita e rinchiusa in un perimetro ben delineato. In questa dinamica diventa quindi organico e complementare il ruolo del coordinamento, al fine di armonizzare le decisioni e le attività degli organi e delle unità organizzative, sia tra loro, sia con gli obiettivi dell’azienda assicurando la fluidità delle attività. Indispensabile inoltre è la responsabilizzazione del professionista, del lavoratore dunque, al quale viene richiesto di attingere a tutto il suo bagaglio di competenze e alle capacità di problem solving.
Resta pur vero che alla base di un simile approccio vi è l’organizzazione della propria attività presso il proprio domicilio o altro luogo in cui si intende intraprendere l’attività professionale ma questa concezione potrebbe aprirebbe la porta a molti fantasmi, in fin dei conti l’Italia è pur sempre il Bel Paese nel quale nel giro di pochi anni il falso mito del lavoro flessibile si è trasformato in lavoro precario. Sarebbe meglio non immaginare come possa declinarsi in termini giuslavoristici un concetto come quello di “lavoro agile”, lo spettro della Gig economy è sempre dietro l’angolo. Solo recentemente infatti, correva l’anno 2017, il legislatore è intervenuto normando lo smart working legittimando il concetto stesso di lavoro agile fino a quel momento equiparato al telelavoro, normato a sua volta da un provvedimento del 1973. Nella sostanza le due norme descrivono lo stesso fenomeno concentrandosi principalmente su luoghi e orari come se svolgere in maniera efficace ed efficiente un’attività professionale sia solo questione di luoghi e orari. Sarebbe opportuno forse intervenire in maniera più incisiva normando tutti gli aspetti così da non lasciare zone d’ombra, facilitando la vita lavorativa sia alle aziende, sia ai lavoratori.
“E’ una sfida importante che potrebbe assumere una portata storica”
Pensare oggi una modalità nuova di gestione e di organizzazione del lavoro (anche se nuova non lo è affatto) è una sfida importante che potrebbe assumere una portata storica come storica è la fase che ne ha spalancato le porte. Una sfida simile non può essere gestita solo da aziende e lavoratori, è necessario che tutti gli stakeholder contribuiscano a cominciare dal legislatore tutelando da un lato il lavoratore subordinato, dall’altro le aziende virtuose che ne fanno utilizzo. I benefici sociali ed ambientali di un simile impatto potrebbero essere epocali, pari se non maggiori alle conseguenze ottenute in seguito all’approvazione della giornata lavorativa di otto ore. Pensiamo all’impatto sulla mobilità e sull’inquinamento, un minor numero di lavoratori in circolazione giova sicuramente all’ambiente contribuendo alla riduzione dell’indice di PM10, mantenendo un livello discreto di qualità dell’aria specialmente nelle grandi città. Inoltre la diversa mobilità delle maestranze che non si spostano in maniera massiva negli stessi orari può contribuire a ridurre notevolmente il traffico cittadino nelle ore di punta. Gestire in maniera autonoma tempi e spazi di lavoro comporta inevitabilmente anche una diversa fruizione del tempo libero, non si tratta di avere a disposizione più tempo libero bensì di avere a disposizione miglior tempo libero. Va da sé che i consumi di beni e servizi non essenziali aumenterebbero in maniera notevole poiché si andrebbe a consumare ciò che in precedenza veniva limitato a causa di una diversa fruizione del tempo libero.
Le ragioni per le quali è necessario un approccio ergonomico e trasversale a questo cambio di paradigma sono molteplici, non possiamo perdere la storica occasione di cambiare in meglio una parte del nostro sistema produttivo, il futuro non sarà domani, è oggi, e a quest’ora siamo già all’imbrunire.